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mercoledì 1 ottobre 2014

La rivolta delle Università e il diritto allo studio

     Quella che viene definita «agitazione» da parte dei ricercatori è un disordine cagionato dalla Riforma Universitaria che stava proseguendo il suo iter parlamentare fino alla battuta d’arresto del ministro dell’Economia e delle Finanze Tremonti. Non ho intenzione di fare l’apologia al decreto Gelmini e nemmeno di muovere contro di esso delle critiche. Resterò neutrale, ma desiderosa di raccontare in che misura il disagio venga avvertito dagli studenti dato che l’astensione dei docenti dalla didattica li sta tangendo come fossero correi del Decreto.
     È iniziato l’anno accademico 2010-2011 per la Facoltà di Scienze della Formazione di Bari e qualche settimana prima erano stati pubblicati gli orari delle lezioni con una sorpresa: in molti corsi sono completamente o parzialmente assenti i nomi dei prof. che avrebbero impartito le lezioni. Tutto questo non deriva da un refuso tipografico, ma è il più grande effetto dell’agitazione dei ricercatori. Di conseguenza materie i cui esami si riferiscono al primo semestre slittano al secondo semestre o a data da destinarsi. Niente lezioni, niente programmi, niente libri, niente esami, addio essere in regola, dov’è finito il diritto allo studio garantito dall’art. 34 della Costituzione italiana?
Gli allievi stanno cercando di elaborare delle strategie, ricercandone ovviamente la liceità, per poter attuare uno scambio di insegnamenti e salvare così il semestre, ma il tempo è dispotico verso di loro perché novembre è cominciato; il semestre termina a gennaio e occorre un numero ben preciso di giorni da dedicare alle ore di lezione.
Matricole e laureandi continuano a coltivare speranze e sogni per il loro futuro, ma non tutti sono così flemmatici. Dalla schiera dei rivoluzionari si è levata una «voce» ed è da escludere che sia «bianca»: esiste un modulo chiamato «di rinuncia agli studi»; se fosse debitamente compilato e consegnato dagli studenti ormai arcistufi del disinteresse dimostrato nei loro confronti, rappresenterebbe il certificato di morte di molti corsi di laurea.

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