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mercoledì 28 settembre 2016

Colette e il giornalismo letterario del Novecento

Recensione: Ester Fiore de Feo, Colette e il giornalismo letterario del Novecento, Schena Editore, Fasano 2008, pp. 307.
Da tempo attenta ad esplorare il mondo degli autori francesi del Novecento alla scoperta di ciò che li rende autentici, Ester Fiore de Feo percorre tutta la produzione di Colette, partendo dall’esperienza letteraria fino all’attività giornalistica di una donna anacronisticamente audace che sfida paure e incomprensioni, difficoltà ed emarginazioni e «la cui personalità e l’impegno letterario dovevano diventare storicamente imprescindibili nell’emancipazione del costume e della letteratura del Novecento».
L’opera spiega le potenzialità che emergono dalla commistione dei generi letterario e giornalistico che dà vita al ‘giornalismo letterario’ attuale, completo, poliedrico, caratterizzato da qualità affabulatorie.
Colette giornalismo letterario recensione Ester Fiore Silvana Calabrese
La prima parte del testo è uno spaccato della vita personale di Colette, dall’infanzia alla maternità, alla maturità, attraverso gli aspetti di una intensa vita sentimentale e professionale. Sono proprio essi, nella loro varietà e peculiarità, a comporre quella cronologia ricca e dettagliata, propedeutica alla parte che accoglie l’Appendice. In questa sezione l’autrice raccoglierà numerosi testi giornalistici: cronache musicali, giudiziarie, di guerra, teatrali e cinematografiche, di moda, costume e società, tutta una varietà di scritti che sapranno rivelare la ricchezza di risorse di questa donna, Colette, impegnata totalmente nella sua attività professionale.
Colette esordisce curando la rubrica di critica musicale del quotidiano «Gil Blas», che le permette di cogliere tutti gli insegnamenti che le prime esperienze giornalistiche le offrono. Oltre al talento letterario, emerge molto presto una delle sue doti principali: la capacità di ritrarre con la penna i profili delle persone note. Cronista del giornale «Le Matin», proprio nel periodo in cui la testata stava realizzando una scalata concorrenziale a livello nazionale, emerge tra i colleghi per spirito di innovazione, scrittura scorrevole, pronta ad approfondire temi sociali. Per tale serietà professionale, riceverà le più illustri onorificenze, tra cui la presidenza dell’Académie Goncourt, il conferimento del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Legion d’Onore, l’ingresso all’Académie Royale de Langue et Littérature Française de Belgique.
L’autrice si sofferma sull’esigenza primaria di Colette, la scrittura, con cui esprime desideri, emozioni e sensazioni. La capacità di avvicinarsi alle piccole cose quotidiane e naturali le viene dall’infanzia, trascorsa nel giardino ‘incantato’ della casa di Saint-Sauveur-en-Puisaye, in Borgogna, sotto la guida della saggezza materna. Qui Colette ha osservato il mondo animale e vegetale, ha imparato ad ascoltare la voce della natura, si è fatta sensibile allo spettacolo del mondo, laddove spesso gli esseri umani rimangono indifferenti. Scrivere la riconduce alla magia della fanciullezza, al ricordo delle sensazioni provate in un periodo cronologicamente lontano, ma sempre presente nel suo animo.
Tuttavia gli insegnamenti e le esperienze che hanno contribuito a forgiarla, conferendole un forte spirito di adattamento, non l’hanno resa immune dai problemi sentimentali: veri e propri tormenti affettivi, dinanzi ai quali Colette ha dimostrato di essere in grado «di ricominciare, proprio in quegli interminabili periodi in cui la vita le mostrava i lati peggiori». La brillante ascesa professionale è dunque inversamente proporzionale alla sfera sentimentale. Ma la scrittura, con l’intrinseca funzione pedagogica e terapeutica, costituisce la sua salvazione.
L’autrice delinea così una personalità per la quale le vicissitudini si fanno nuova linfa, che permette alla donna di proseguire il proprio percorso professionale, nonostante le devastazioni della prima e della seconda Guerra Mondiale. È proprio il contatto con la realtà straziante del fronte e del suo crudo realismo che diviene per lei occasione di riflessioni e rappresentazioni di eccezionale intensità emotiva.
La seconda parte dell’opera ha il pregio di illustrare quanto la presenza di Colette in redazione fosse insostituibile per via del vigore che era capace di conferire agli articoli. Se l’usuale prassi seguita nella stesura degli articoli giornalistici li rendeva freddi e distaccati rispetto ai lettori, la connotazione letteraria che Colette sapeva infondere, ne donava uno slancio entusiasmante. «Era come se per ogni argomento trattato non vi fosse solo l’avvenimento da relazionare tout court, ma entrassero in gioco ogni volta fattori più determinanti, legati alla sua emotività, alle sue passioni, all’immenso bagaglio di esperienze e di conoscenze che custodiva dentro di sé».
Nell’Appendice la studiosa propone una vasta gamma di articoli Colettiani che consentono ai lettori più curiosi di ‘incontrare’ una Colette «ora riflessiva nelle relazioni sui processi criminali, seducente e moderna nelle vive cronache sulla moda, aperta e innovativa nelle recensioni teatrali o cinematografiche, emotiva e passionale nei reportages dal fronte di guerra».
È posta in rilievo anche la possibilità di una lettura di impostazione psicoanalitica alla base dei casi giudiziari con intuizioni di sorprendente valore. Colette seguiva le udienze dei casi più importanti dai banchi di tribunale riservati alla stampa, non senza aver letto i verbali degli interrogatori dei singoli imputati. La redazione del quotidiano «Le Matin» incaricò lei di redigere le impressioni delle udienze, per l’acuto spirito di osservazione di cui era dotata. Hanno la sua firma gli articoli relativi ai procedimenti contro i complici della banda á Bonnot, il processo Stavinky, l’affaire Weidmann, Marie Beker empoisonneuse, il processo Guillotin, il processo Moulay Hassem. I commenti nelle cause ai criminali, definiti monstres da Colette, rivelano profili ritratti con intensità e finezza psicologica da cui emerge una singolare capacità di narrare i fatti di cronaca in modo originale, senza deformarne la realtà e soprattutto restando fedele alla verità. La grande oggettività non le impone rigidità descrittiva, anzi, rifacendosi alla sua passione per l’entomologia, quasi lente di ingrandimento, diventa una visione capace di inquadrare l’infinitamente piccolo. L’autrice si ferma sugli aspetti più interessanti dell’opera di Colette, scrittrice e giornalista certamente fuori dall’ordinario, ma pur sempre una donna, pronta a cogliere ciò che dai meandri della psiche umana non emerge, gli aspetti più profondi che spesso restano ignoti. In aula scruta atteggiamenti, sguardi, portamenti, espressioni, rifacendosi agli studi del fondatore dell’antropologia criminale Lombroso che, esaminando le foto degli schedari della polizia, eseguiva con perizia un’analisi di quegli strati della popolazione che esprimevano malessere e cadevano in una inevitabile devianza.
L’autrice, con le sue ricerche, sa rendere il lettore partecipe degli eventi, coinvolgendolo in riflessioni sulle condizioni sociali, di genere o economiche, in un periodo che vede inserirsi le donne all’interno di dinamiche nuove, mediatiche e di potere, destinate a cambiare regole e  comportamenti all’interno della società. 
La recensione è apparsa su «La Nuova Ricerca», Rivista del Dipartimento di Linguistica, Letteratura e Filologia Moderna, anno XIX, N. 19, Fabrizio Serra Editore, Pisa–Roma 2010, pp. 280–281.

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