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domenica 27 novembre 2016

Anche il toscanissimo Benigni vittima degli orrori di sintassi

Il buon vecchio italiano nasce in Toscana e lì muore
Roberto Benigni ha illustrato i dieci comandamenti in maniera ragguardevole, ma ha violato l’undicesimo precetto «Parla secondo corretta sintassi affinché il tuo italiano sia gradevole all’udito». Temo che non vi sia un solo italiano in tutta la penisola ad essersi accorto di due errori commessi dall’attore. «A Dio gli piace» e «il popolo c’ha o c’aveva». Queste formule sgrammaticate hanno una copertura territoriale totale ormai. Ma che anche il Benigni, fiorentino, ne sia stato contagiato mi ha fatto restar male. Il buon vecchio italiano è nato in Toscana e lì muore. Dovevamo immaginare che i progressi compiuti avrebbero presto incontrato una pesante recessione culturale.
Nel primo caso si tratta di un uso pleonastico dei pronomi personali con valenza di complemento di termine (rispondono alla domanda a chi?): mi, ti, gli, le, ci, vi, li, le. Significano rispettivamente a me, a te, a lui, a lei, a noi, a voi, a loro (m e f). Dire «A Dio gli piace» non è corretto perché il gli significa a Lui e il Lui è già indicato. Esistono due forme corrette «A Dio piace» o «Gli piace». Nel quotidiano si ode spesso «Glielo hai detto a lei?», errore! Due alternative giuste sono «Lo hai detto a lei?» oppure «Glielo hai detto?».
Benigni Roberto dieci comandamenti grammatica italiana Silvana Calabrese Blog
Una volta ho assegnato un tema a un bambino di seconda elementare (figlio di laureati). Ho avvertito dei brividi nel leggere «Bob ciaveva un amico». Non formulai pregiudizi, ma lessi i temi di bambini di ogni età scoprendo che tutti scrivevano allo stesso modo. L’ausiliare che un tempo si coniugava io ho, tu hai, egli ha, noi abbiamo, voi avete, essi hanno, ora viene sostituito da io c’ho, tu c’hai, egli c’ha, noi c’abbiamo, voi c’avete, essi c’hanno. Dallo scaricatore di porti all’insigne professore, tutti usano la nuova coniugazione verbale. Lo abbiamo probabilmente udito da qualche idolatrato attore o calciatore ed assimilato passivamente perché ormai le nostre sinapsi sono ai minimi storici.
Qualche pezzo grosso in Rai ha affermato di voler perseguire un ritorno alla lingua standard che sia corretta perché il servizio pubblico deve riuscire a garantire un livello linguistico di qualità. Ma non dovrebbe essere un proposito, bensì una realtà stabile. Se pago il canone di abbonamento sento il dovere di pretendere una qualità linguistica che testimoni cultura. Non mi sento dotta ad aver scritto queste righe di disappunto perché l’italiano può aprirsi a neologismi, ma non mutare la sua struttura o permettere che venga corrosa. A me non mi piace questo italiano, c’ho proprio i nervi! 
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 29 dicembre 2015, p. 16. 

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