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martedì 25 luglio 2017

Underground zone. Dandy, Punk, Beautiful People

Recensione: Claudia Attimonelli – Antonella Giannone, Underground zone. Dandy, Punk, Beautiful People, Caratteri Mobili, Bari 2011, pp. 119.
Un fotogramma dagli anni Settanta ci illustra l’esempio di come i giovani si siano imposti come figura sociale. Scena sarà il termine chiave per comprendere quanto ricco sia il repertorio fotografico di Paul Zone; l’originalità della fuga verso la Germania Ovest ai tempi del Muro senza scavalcarlo, ma attuando una fuga nel sottosuolo della creatività e della fantasia, ordita dai giovani berlinesi, la cui dissidenza sotterranea giocata sullo stile, li rendeva allo stesso tempo fuggitivi e «liberi entro i confini»; e perchè un rock club di Manhattan, il CBGB, fosse considerato un rifugio, un laboratorio creativo, una seconda casa.
Debbie Harry e Paul Zone
Al lettore viene offerta l’opportunità di cogliere l’essenza delle sottoculture immergendosi nella scena intesa come comunità di individui intorno ad un corpus di segni, pratiche e linguaggi. È mutevole poiché risente della varietà di gente che la compone costituendo un segmento sociale che si differenzia dalla macrocultura di cui fa parte mediante stili di vita, sistemi di valori e credenze e modi di vestire simbolici di cui però il commercio si è abilmente impossessato.
Glam e Punk hanno la musica come veicolo espressivo capace di influenzare il look, incrementando così il potere comunicativo dell’immagine.
Dalla ribellione contro una società che non tardò a dimostrarsi ostile verso la categoria dei giovani nacque il punk con il suo sound apocalittico e un look disturbante dato da un abbigliamento all’insegna dell’antistile. Negli ‘anni di piombo’ si lascia al corpo e agli abiti il compito di emanare il dolore di un dilagante decadimento morale.
Underground zone
Pur essendo agli antipodi, Dandy e Punk hanno un denominatore comune: se Barthes definisce dandy l’individuo che dopo la Rivoluzione Francese vuole mantenere i segni della distinzione sociale attraverso quella categoria estetica che meglio può manifestare le differenze, ovvero il dettaglio, anche il Punk lo ricerca, ma all’interno di una guerriglia semiotica dell’antistile e del trasandato.
L’idea di eleganza e di ostentazione dell’erotico tipico del Glam è meglio comprensibile se si pensa alla cantante dei Blondie, Debbie Harry scelta per interpretare il ruolo di Nichi nel film Videodrome perché in grado di emanare edonismo e autolesionismo che sarebbero confluite nel cyberpunk contemplato da Cronenberg.
Solo il medium fotografico ha potuto permettere che restasse una traccia della scena musicale. Solo l’obiettivo ha fissato icasticamente l’incontro tra arte e storia. Solo la produzione e la conservazione di materiali iconografici giunti fino ai giorni nostri ha consentito che l’immagine divenisse essa stessa scena.
Il repertorio iconografico custodito da Paul Zone è l’esempio dell’impiego della fotografia come mezzo di narrazione e fedele calco della scena musicale di quegli anni. Nell’intervista rilasciata da Paul Zone, egli dichiara quanto fosse stato fortunato ad avere dei fratelli più grandi che lo introdussero, ad appena quattordici anni, nei club in cui cominciò a stabilire rapporti di amicizia con persone che presto sarebbero balzate agli onori delle cronache. Li fotografò quando ancora non erano famosi, quanto ancora non si era edificata la loro iconografia. La quantità di foto che ritraggono Debbie Harry testimonia inoltre il profondo legame di amicizia che li lega. Quegli scatti spontanei, amatoriali, ingenui, privi di professionalità o pretese artistiche, hanno rivelato le loro potenzialità documentaristiche poiché hanno immortalato l’aura, l’unicità e l’autenticità di quei personaggi nell’irripetibilità della scena che hanno costellato. 
Nessuna foto artistica è mai riuscita a trasmettere il medesimo fascino.

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